La nutrizione, per i pazienti sottoposti a dialisi, ha un ruolo fondamentale per ottenere un buon grado di benessere. Il 40 % dei pazienti dializzati presenta segni di malnutrizione, mentre il 5-15 % è notevolmente malnutrito.
Questo squilibrio nutrizionale può essere causato dalla malattia renale stessa o dall’inefficiente assorbimento ed utilizzazione dei nutrienti.
Lo stato cronico della malattia renale è chiamato CKD, e viene definito clinicamente tramite la riduzione importante della funzione renale e/o dalla presenza di marcatori di danno renale (ex. albuminuria). Questa è considerata un fattore predittivo di aumentato rischio di mortalità, e di progressione verso uno stadio più avanzato, cioè verso un’insufficienza renale anche terminale (ESKD). La ESKD si può definire come la condizione irreversibile a cui può giungere la malattia renale cronica, e il paziente, in quel caso, necessita di trapianto di rene o dialisi per la sopravvivenza. Il 50 % statisticamente si sottopone a emodialisi.
In corso di CKD, si può manifestare la progressiva riduzione del patrimonio proteico ed energetico dell’individuo, una condizione che prende nome di deplezione proteico calorica (PEW). Questo grave stato di malnutrizione, che comporta la perdita di grasso e delle riserve muscolari, si presenta in più del 45 % dei pazienti nefropatici, e si esacerba in rapporto al peggioramento della funzione renale: nel 28 – 48 % dei pazienti, nei primi 4 stadi della CKD e fino al 50-75% nei soggetti in dialisi cronica. La condizione CKD è considerata il fattore di morbilità̀ più̀ rilevante nel paziente nefropatico e addirittura predittivo di mortalità, poiché può comportare un aumento di esposizione a infezioni, malattie cardiovascolari, fragilità, depressione, etc..
Esistono tantissimi fattori patogenetici che possono influire sullo stato nutrizionale dei pazienti con CKD/ ESKD, portando poi alla PEW e a molteplici effetti negativi. Le cause concorrenti della PEW, quindi, possono essere svariate e compresenti, alcune di queste sono: l’età avanzata, l’inadeguata assunzione di cibo, il trattamento inadeguato della stessa sindrome, diverse comorbilità acute/croniche, complicanze / alterazioni metaboliche ad essa correlate.
Più nello specifico i fattori più comuni che concorrono ad una riduzione considerevole di nutrienti sono l’anoressia (35 – 70 %) e le restrizioni dietetiche inappropriate.
Deve avvenire, quindi, un’attenta valutazione dello stato nutrizionale del paziente dialitico, a rischio malnutrizione, basandosi sia su valutazioni antropocentriche e comportamentali che sui parametri ematochimici. Per monitorare clinicamente ci si può basare su diversi indicatori. I più significativi sono il BMI e l’albulimia plasmatica, che tuttavia presentano numerosi limiti, il che li rende non affidabili, quali unici criteri, ai fini di una valutazione obiettiva corretta.
Negli ultimi anni si è valutata, come approccio semplice a basso costo, e particolarmente efficace nella prevenzione e trattamento della PEW, la supplementazione nutrizionale per via orale durante la dialisi, e/o nell’intervallo interdialitico, associata ad un preciso counselling dietetico.
Un gruppo di studiosi nefrologi europei, sta realizzando un “position paper” (annunciato come disponibile alla fine dell’anno corrente) per definire le linee guida da seguire, per fornire un trattamento nutrizionale clinico adeguato al paziente dialitico. Detto documento contiene evidentemente raccomandazioni e indicazioni pratiche per gli operatori sanitari, impegnati sul campo nella nutrizione parenterale intra-dialitica.
La nutrizione parenterale intra-dialitica (IDPN), cioè la somministrazione di nutrienti direttamente nel circolo della dialisi, è un trattamento indirizzato ai pazienti che non riescano a soddisfare le proprie esigenze nutrizionali tramite una piano dietetico peculiare, o mediante una nutrizione orale supplementare (secondo le linee guida ESPEN ).
In generale, il suddetto approccio, gioca un ruolo fondamentale nel trattamento di coloro che hanno una condizione a lungo termine, come insufficienza intestinale, cancro, pazienti in terapia intensiva o sottoposti ad interventi chirurgici, mentre è ancora sottoutilizzato nel campo dell’emodialisi.
Questa terapia garantisce la giusta dose di macronutrienti essenziali, fornendo ai pazienti una equilibrata miscela di aminoacidi, glucosio e lipidi durante il trattamento dialitico.
Le soluzioni pronte all’uso per IDPN, sono efficienti e convenienti nell’utilizzo, riducono i tempi di preparazione del 65 %, abbassano il rischio di commettere errori da parte di medici specializzati, riducono il rischio di infezione del 16 %, e garantiscono una immediata disponibilità perché il prodotto è pronto all’uso, e beneficiando di una shelf-life di 24 mesi, non è necessaria la refrigerazione.
Inoltre, la nutrizione clinica con IDPN permette di ottimizzare l’allocazione delle spese sanitarie e di migliorare i risultati in termini di salute, riducendo del 30 % le ospedalizzazioni e diminuendo del 40 % la durata dei ricoveri prima del trattamento.
In conclusione, questa terapia, anche se porta a numerosi benefici in termini di salute ed economici, ad oggi è scarsamente diffusa e sottoutilizzata dalla comunità dei nefrologi, probabilmente per disabitudine o scarsa conoscenza dei dati clinici.
Nasce, quindi, la necessità di avere maggiore consapevolezza sulle opzioni di trattamento disponibili per i pazienti sottoposti a trattamento dialitico, ed è auspicabile che grazie alla diffusione delle linee guida di utilizzo della IDPN all’interno del documento sopracitato, disponibile entro la fine dell’anno, questo possa cominciare ad avvenire.